I DAMMUSI DI PANTELLERIA
LA TERRA, LA PIETRA, LA CASA
di Federica Campanelli
Distante poco più di quaranta miglia dalle coste tunisine, nel Canale di Sicilia emerge la sommità di un edificio vulcanico sottomarino, oggi conosciuto come isola di Pantelleria.
Costituita particolarmente da rocce magmatiche, scolpita nel corso del tempo dai venti di maestrale e toccata periodicamente da altissime temperature, l'isola di Pantelleria, al-Quasayra (la piccola, come è definita dai berberi), è esempio d’armonico incontro tra la terra e l’uomo. La materia della superficie terrestre, tal quale, passa a far parte della cultura antropica locale, prendendo forma in rurali esempi di costruzione vernacolare mediterranea.
È l’osservazione della materia, prima ancora che della forma, a guidare l’analisi storica e tecnica dell’architettura locale, perché essa è figlia del territorio.
Dammuso, questa la denominazione dell’ormai tipica abitazione pantesca; una parola che già di per sé traccia una semplice illustrazione dell’edificio. Il termine dammuso, infatti, trova origini nel vocabolo arabo dammus, unica parola per indicare la volta estradossata. Nelle abitazioni pantesche, dammus, quindi dammuso, indica tuttavia l’intera costruzione.
I dammusi, così pienamente conformi al paesaggio naturale, si presentano quali modeste ma pregevoli testimonianze lapidee di un’efficace maniera di vivere il proprio territorio, sposando tecnologie costruttive a semplicità e sintesi.
Questa tipologia d’abitazione è la splendida, ricca eredità che gli Arabi hanno ceduto al territorio circa novecento anni fa quando, nel 1123, l’isola fu annessa alla Sicilia normanna di Ruggero I.
Il dammuso ha subito nel tempo inevitabili evoluzioni tecniche, morfologiche e di destinazione; ciò nonostante persistono ancora i suoi elementi distintivi e caratterizzanti. La messa in opera dei blocchi di roccia vulcanica, definita non a caso pantellerite, è rigorosamente a secco. L’assemblaggio a secco, che non prevede l’uso di malte o leganti per la giunzione, è una tecnica la cui proverbiale essenzialità cela piuttosto una scrupolosa razionalità costruttiva, non priva in difficoltà.
L’equilibrio, apparentemente labile, di una simile struttura custodisce quella salda stabilità pluriennale che ancora oggi ci permette di apprezzare opere come gli ermetici nuraghes sardi, l’incedere tortuoso dei muri nel territorio ibleo, i terrazzamenti collinari pugliesi e le pajare salentine.
Non è casuale il sorgere dei dammusi là dove l’area risulta aspra e sassosa. Reperire il materiale da costruzione direttamente dai banchi rocciosi ipogei, converte, infatti, la pratica faticosa ma necessaria dello spietramento in un’efficace opera di bonifica fondiaria, rendendo produttivo il terreno.
L’abitazione del dammuso si erge su fondazioni poco profonde, circa cinquanta centimetri, ed è composta generalmente da tre ambienti interni: il principale è la kammira, cui sono affiancate l’arkova e il kammirino, che nel complesso costituiscono un’unica cellula abitativa. Le cellule si possono riscontrare singole o, soprattutto in tempi più recenti, aggregate. Poche ed essenziali le aperture che si limitano alla porta d’ingresso e a piccole finestre: gli occhi di pietra.
L’elevato spessore, fino al metro, delle mura perimetrali svolge molteplici funzioni: permette di assorbire le spinte delle coperture e, sfruttando la scarsa conducibilità termica della roccia, di isolare l’ambiente interno.
Natura, morfologia e caratteri climatici del luogo sono, logicamente, elementi da cui non si può prescindere nel valutare e legittimare specifiche soluzioni tecnico-costruttive. I prolungati periodi di siccità rendono necessaria la realizzazione di un sistema di raccolta delle acque, e ciò giustifica l’abbondante presenza di tetti a terrazza e a volta estradossata.
La cupola estradossata è quella in cui la superficie esterna della stessa, l’estradosso, è a vista, costituendo da sola la copertura dell’edificio. Inizialmente realizzate con l’ausilio di un legante molto semplice, come terra impastata ad acqua, le volte sono successivamente eseguite anche con calce.
Ciò dimostra come ci siano state attività d’importazione, utili per l’ottenimento di quei materiali che l’isola non poteva fornire.
L’uso della calce, inoltre, contribuisce fortemente alla protezione dall’irraggiamento solare.
Gli estradossi delle cupole adiacenti, operano da fenditure entro le quali l’acqua piovana può scorrere fino ad una prospiciente cisterna interrata.
Quest’ultima, introdotta durante il periodo punico (dall’IX° secolo a.C. all’epoca romana), rappresenta la basilare risorsa idrica dell’isola, che non dispone di rilevanti sorgenti naturali.
Esclusive e razionali le sistemazioni esterne, rappresentate dai giardini. Ancora una volta solide costruzioni a secco, edificate su pianta comunemente circolare, ad avvolgere e preservare dai forti venti marini una o più piante arboree: agrumi innanzi tutto ma, non meno frequenti, ulivi, vari alberi da frutta e palme da dattero.
La collocazione del giardino può variare e, che risulti annessa all’abitazione o che sia isolata, questa struttura (alta fino a tre metri) è sempre presente.
Molti dei dammusi giunti ai nostri giorni risalgono al XIX° e XX° secolo, ma attualmente sono destinati in gran numero alla funzione di pensioni e B&B (oramai germoglianti in qualsivoglia località votata al turismo). Non mancano pertanto opere di “modernizzazione” che hanno arricchito le tradizionali abitazioni pantesche di cristalline e lucenti piscine (inevitabili quando si è circondati dal mare), TV satellitari e condizionatori paladini del ristoro.
C’è da dire che tuttavia, attraverso alcune norme di tutela del territorio, ci si è impegnati nel limitare opere d’abusivismo, inevitabili in territori come questi. Ne sono state esempio l’ammenda di i venti milioni di lire e i dieci giorni di arresto che l’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, s’è trovato a scontare, nel 2001, in seguito alla condanna definitiva in Cassazione.
L'accusa era relativa proprio alla ristrutturazione di un vecchio dammuso in contrada Nicà.
Oggi l’isola di Pantelleria è una meta turistica ambita, forse destinata ad inflazionarsi: dalle contrade di Rekhali, passando per Khamma, Sibà, Bugeber, fino a Bukkuram, di certo non mancano ristoranti ed esercizi commerciali dalle discutibili conformità territoriali, ma i locali notturni scarseggiano, demoralizzando così i cacciatori di mondanità, e l’isola può conservare ancora una propria dimensione legata al silenzio.